Stai leggendo - All'ombra del monolite - il blog di Francesco Russo
In missione contro le distrazioni per proteggere aziende e persone dagli effetti negativi dell'economia dell'attenzione
Pagina pubblicata in data
29 giugno 2021
Aggiornata il 16 agosto 2021
Tempo di lettura: il tempo necessario a capire le cose
Gli "addetti ai lavori" del mondo digitale temono forse l'avvento di una distopia causata dal "dominio" di smartphone & Co.?
Domanda, forse, un po' particolare. Ma che nasce da una riflessione osservando il comportamento di molte persone che dopo aver lavorato per anni per i colossi del digitale come Google, Twitter o Facebook e aver contribuito a diffondere e a rendere sempre più seducente l'esperienza digitale, scelgono di "disconnettersi" da internet.
A porsi per primo questa domanda è stato Paul Lewis, giornalista del "The Guardian", che qualche anno fa ha iniziato a parlare di "refusenik" per quelle persone che hanno contribuito al successo della Silicon Valley, , e che oggi sono allarmate dalla corsa all'attenzione umana (puoi leggere l'articolo "Fissare l'economia della distrazione").
Justin Rosenstein, co-fondatore di Asana, sembra più preoccupato per gli effetti psicologici che hanno gli smartphone sulle persone, piuttosto che l'organizzazione del lavoro in ufficio. Ha modificato il sistema operativo del suo portatile per bloccare Reddit, si è auto bandito da Snapchat (che paragona all'eroina) e si è imposto dei limiti all'uso di Facebook. Nell'agosto del 2017 il giovane dirigente ha fatto un passo ancora più radicale. Sul suo nuovo iPhone ha fatto impostare da un suo collaboratore una funzione che limita l'installazione delle app (vedi a riguardo l'articolo "How Silicon Valley hooks us").
Voglio ricordare che Rosenstein è uno degli ingegneri informatici che hanno avuto un ruolo fondamentale nella creazione del pulsante "mi piace" di Facebook, e che ha anche contribuito a creare Gchat quando ha lavorato in Google.
Oggi, dopo più di dieci anni, da quando rimaneva sveglio tutta la notte a lavorare al prototipo di quello che era considerato un "pulsante rivoluzionario", appartiene ad una piccola cerchia (ma in continua crescita) di "eretici" della Silicon Valley che si lamenta dell'ascesa della cosiddetta "economia dell'attenzione".
Questi "eretici", questi "refusenik", sono raramente fondatori o amministratori delegati dei grandi colossi del mondo digitale. Figure che generalmente sono poco incentivate ad abbandonare il mantra delle aziende che guidano (e cioè che stanno rendendo il mondo un posto migliore), e soprattutto i lauti guadagni che queste offrono.
I "refusenik", in generale, tendono ad essere persone che hanno ricoperto dei ruoli "minori", come designer, ingegneri e product manager che, come Rosenstein, hanno contribuito a posare le fondamenta del mondo digitale da cui ora stanno cercando di "allontanarsi".
"È comune per gli esseri umani sviluppare idee e soluzioni con le migliori intenzioni, per poi vederle impiegate con conseguenze negative" ha affermato Rosenstein.
La preoccupazione è rivolta al fatto che la tecnologia sta portando ad uno stato di "attenzione parziale permanente", riducendo notevolmente le capacità di concentrazione delle persone, e quindi di abbassamento del quoziente intellettivo (puoi leggere a riguardo gli articoli "Distrazioni disastrose" e "Distrazioni? No grazie").
Lo studio "Brain Drain: The Mere Presence of One’s Own Smartphone Reduces Available Cognitive Capacity" condotto da Adrian F. Ward, Kristen Duke, Ayelet Gneezy, e Maarten W. Bos, ha messo in evidenza che la semplice presenza di un smartphone nei "paraggi" danneggia la nostra capacità cognitiva (anche quando il dispositivo è spento).
Questi aspetti sono nulla rispetto alla preoccupazione da parte di questi "eretici" che i social media possono avere sul sistema economico, sociale e politico delle Nazioni.
Pensiamo ad esempio a due casi emblematici. Il primo è il caso "Cambridge Analytica", raccontato nel 2019 dal documentario Netflix "The Great Hack", che racconta come nel 2013 la società Cambridge Analytica ha raccolto i dati di milioni di utenti di Facebook senza il loro consenso attraverso un'app chiamata "This Is Your Digital Life". L'app sottoponeva gli utenti ad una serie di domande che permettevano di costruire profili psicologici degli utenti. Dati che Cambridge Analytica ha utilizzato per fornire assistenza analitica alle campagne presidenziali del 2016 di Ted Cruz e Donald Trump.
Il secondo caso, citato anche all’interno del documentario "The Great Hack", è l'interessante reportage giornalistico realizzato da Carole Cadwalladr su come notizie fraudolente, appositamente costruite ad hoc, veicolate attraverso i social media, hanno svolto un ruolo fondamentale nel "pilotare" il voto sulla Brexit.
Nel suo reportage ha raccontato l’emblematico caso della cittadina di Ebbw Vale, che si trova nel Galles meridionale. Balzata agli onori delle cronache perché il 62% della popolazione in occasione del voto sulla Brexit scelse per l’uscita dall’Unione Europea.
Perché questa cittadina è divenuta famosa? Perché Ebbw Vale è costellata di cartelli (dalle notevoli dimensioni) che illustrano la notevole quantità di fondi europei utilizzati per il rilancio economico della cittadina.
La città è stata completamente ridisegnata grazie ai fondi europei (un centro sportivo all’avanguardia, un istituto di formazione per la ricerca, e così via…). Nonostante le notevoli quantità di denaro arrivate nella piccola comunità gallese, il 62% della popolazione ritiene che l’Unione Europea non ha fatto nulla per la.
Il timore principale è che fenomeni come l'infodemia, la nomofobia, il multitasking, possono "preparare" un terreno fertile per "fake news" & Co., confezionate appositamente per pilotare le decisioni delle persone, e quindi che si possano creare le condizioni per minare i principi della democrazia stessa.
All'origine, il pulsante "mi piace" doveva essere uno strumento per diffondere positività, ma il successo è stato talmente inusitato che ha spinto le persone a cercare sempre di più quel breve attimo di piacere. Mentre Facebook raccoglieva dati preziosi sulle preferenze degli utenti, dati preziosi venduti agli inserzionisti a peso d'oro.
L'idea del pulsante "mi piace" ha avuto talmente successo che a seguire i principali social network hanno introdotto funzionalità simili.
Fu Leah Pearlman, allora product manager di Facebook e nel team che creò il pulsante "mi piace", ad annunciare nel 2009 l'introduzione di questa funzione.
Oggi è un'illustratrice, e ha confermato anche lei che si è disaffezionata al "mi piace" di Facebook e agli strumenti di riscontro sociale che creano dipendenza (puoi leggere a riguardo l'articolo "The Rise of the Like Economy").
Fa uso di un plug-in del suo browser per bloccare il feed di Facebook, ed ha assunto un social media manager per monitorare la sua pagina Facebook in modo che non debba farlo lei.
"Una ragione per cui penso che sia particolarmente importante per noi parlare di questo, è che potremmo essere l'ultima generazione che può ricordare una vita prima del mondo digitale" ha affermato Rosenstein. Può essere o non essere rilevante il fatto che Rosenstein, Pearlman e la maggior parte degli addetti ai lavori che si interrogano sull'economia dell'attenzione oggi siano dei "trentenni", membri dell'ultima generazione che può ricordare un mondo in cui i telefoni avevano il filo ed erano "fissi".
È rivelatore il fatto che molti di questi "giovani tecnologi" si stiano allontanando dai loro stessi prodotti, mandando i loro figli nelle scuole d'élite della Silicon Valley dove iPhone, iPad e persino i computer portatili sono vietati.
Sembrano quasi attenersi al testo di Biggie Smalls in cui si illustra un principio degli spacciatori: mai sballarsi con la "roba" che si vende.
Il 4 aprile del 2017, programmatori, designer digitali e più in generale imprenditori tecnologici di tutto il mondo hanno partecipato alla conferenza organizzata a San Francisco da Nir Eyal.
Ogni partecipante è arrivato a pagare fino a 1700 dollari per apprendere quali sono gli strumenti per manipolare le abitudini quotidiane delle persone.
Quando Eyal è salito sul palco ha affrontato la crescente preoccupazione sul fatto che la manipolazione tecnologica può essere dannosa o immorale. Ha sottolineato al pubblico che è importante non abusare del design persuasivo e di non oltrepassare la linea della coercizione.
Eyal ha manifestato scetticismo sul fatto che la dipendenza tecnologica sia pari alla dipendenza generata dalle droghe. "Non stiamo iniettando Facebook o Instagram forzatamente a qualcuno. Come non dobbiamo incolpare il panettiere per aver sfornato dei dolci che fanno ingrassare, non possiamo incolpare i produttori di tecnologia per aver reso i loro prodotti buoni".
Nonostante questo, Eyal ha confidato anche al proprio pubblico le azioni che mette in atto per proteggere la propria famiglia, come ad esempio, installare un timer collegato al router di casa per ridurre l'accesso ad internet.
Nir Eyal è l'autore di "Hooked: How to Build Habit-Forming Products". Libro molto conosciuto negli Stati Uniti, in cui ha illustrato le tecniche che le grandi aziende della Silicon Valley utilizzano per catturare l'attenzione del pubblico, che ha potuto osservare e studiare da vicino lavorando per queste ultime in qualità di consulente.
"Le tecnologie che usiamo si sono trasformate in compulsioni, se non in vere e proprie dipendenze", scrive Eyal. "È l'impulso di controllare la notifica di un messaggio. È la spinta a visitare YouTube, Facebook o Twitter solo per pochi minuti, solo per ritrovarsi dopo un'ora ancora a scorrere la bacheca".
Niente di tutto questo avviene per caso, è stato tutto progettato a tavolino.
Eyal spiega i sottili trucchi psicologici che possono essere utilizzati per far sviluppare nuove abitudini agli utenti. Spiega come variare le ricompense che le persone ricevono per stimolare "una voglia", o sfruttare le emozioni negative che possono agire come delle leve. I sentimenti di noia, solitudine, frustrazione, confusione e indecisione spesso istigano un leggero dolore o irritazione e spingono ad un'azione quasi istantanea, spesso senza pensarci, per sedare la sensazione negativa.
Ma se le persone che hanno contribuito alla diffusione di queste tecnologie stanno facendo passi così radicali per liberarsene, ci si può ragionevolmente aspettare che il resto di noi farà lo stesso?
Secondo Tristan Harris, ex dipendente di Google diventato un forte critico dell'industria ditale, la risposta è negativa. "Tutti noi siamo collegati a questo sistema", afferma. "Tutte le nostre menti possono essere dirottate. Le nostre scelte non sono così libere come pensiamo".
Harris è stato bollato come "la cosa più vicina ad una coscienza nella Silicon Valley", insiste sul fatto che miliardi di persone hanno poca scelta sull'uso di queste tecnologie ormai onnipresenti, e sono in gran parte inconsapevoli dei modi invisibili in cui un piccolo numero di persone nella Silicon Valley stanno modellando le loro vite.
Tutto è iniziato nel 2013, quando Harris lavorava come product manager in Google, e fece circolare fra i colleghi un promemoria intitolato "A Call To Minimise Distraction & Respect Users Attention".
Il promemoria arrivò fino ai piani alti di Google, e lo portò a divenire responsabile etico del design di Google e della "filosofia" del prodotto.
"Una manciata di persone, che lavorano in una manciata di aziende del mondo digitale, attraverso le loro scelte manipola ciò che un miliardo di persone stanno pensando oggi", ha detto in un recente discorso TED a Vancouver.
"Una manciata di persone, che lavorano in una manciata di aziende del mondo digitale, attraverso le loro scelte manipola ciò che un miliardo di persone stanno pensando oggi."
"Non conosco un problema più urgente di questo", dice Harris. "Sta cambiando la nostra democrazia, e sta cambiando la nostra capacità di avere conversazioni e relazioni".
Laureato alla Stanford University, Harris ha studiato con BJ Fogg, uno psicologo comportamentale "venerato" negli ambienti tecnologici per le sue competenze nello sviluppare design capaci di stimolare le persone. Molti dei suoi studenti, tra cui Eyal, hanno svolto la propria carriera nella Silicon Valley.
Harris ha studiato come LinkedIn sfrutta il bisogno di reciprocità sociale per stimolare ad ampliare la propria rete; come YouTube e Netflix sfruttino l'autoplay per far continuare a guardare video; come Snapchat ha creato la sua coinvolgente funzione Snapstreaks, incoraggiando una interazione "quasi" costante fra i suoi utenti.
Le tecniche che queste aziende utilizzano non sono sempre generiche: possono essere algoritmicamente adattate ad ogni persona.
Un rapporto interno di Facebook, trapelato nel 2017, mostra come l'azienda di Menlo Park può identificare quando gli adolescenti si sentono "insicuri", "senza valore" e "hanno bisogno di una iniezione di fiducia".
Le aziende possono sfruttare queste vulnerabilità per mantenere l'attenzione delle persone, manipolando, per esempio, i "mi piace" che ricevono i post, assicurandosi che arrivino nel momento in cui un individuo è più probabile che si senta vulnerabile, o bisognoso di approvazione.
Il design dei social media, spiega Harris, sfrutta la stessa suscettibilità psicologica che rende il gioco d'azzardo compulsivo: le ricompense variabili. Quando tocchiamo quelle app con le icone rosse, non sappiamo se scopriremo un'email interessante, una valanga di "mi piace", o niente di tutto questo.
Quelle icone rosse sono ormai ovunque. Quando gli utenti guardano i loro telefoni, decine o centinaia di volte al giorno, si trovano di fronte a piccoli punti rossi accanto alle loro applicazioni, che implorano di essere toccati. "Il rosso è un colore scatenante", dice Harris.
Questi meccanismi spiegano anche il meccanismo pull-to-refresh, per cui gli utenti strisciano sullo schermo un dito verso il basso, fanno una pausa e aspettano di vedere quale contenuto apparirà. Questo meccanismo è divenuto rapidamente una delle caratteristiche di design più coinvolgenti e onnipresenti nella tecnologia moderna.
Ogni volta che si scorre verso il basso, è come se utilizziamo una slot machine. Non sai cosa succederà. A volte è una foto. A volte è solo una pubblicità.
Il designer che ha creato il meccanismo pull-to-refresh è Loren Brichter, ampiamente ammirato nella comunità degli sviluppatori di app per i suoi design eleganti ed intuitivi.
Oggi l'azione di tirare verso il basso è, per centinaia di milioni di persone, intuitiva come grattarsi il naso. Da allora il design è diventato una delle caratteristiche più impiegate nello sviluppo delle applicazioni.
Brichter afferma che non ha mai voluto che le sue soluzioni potessero essere utilizzate per creare dipendenza. Non contesta infatti il paragone con le slot machine. "Sono d'accordo al 100%", afferma. "Ho due bambini ora e rimpiango ogni minuto in cui non sto prestando loro attenzione quando il mio smartphone mi cattura".
In un'era di tecnologia di notifiche push, le applicazioni possono aggiornare automaticamente i contenuti senza essere attivate dall'utente. Il sistema di scorrimento verso il basso potrebbe facilmente andare in pensione. Invece serve ad una funzione psicologica ben precisa. Del resto le slot machine sarebbero molto meno coinvolgenti se i giocatori non potessero tirare la leva da soli. È come il pulsante "chiudi porta" in alcuni ascensori con porte a chiusura automatica. "Alla gente piace premerlo".
Oggi Brichter sta mettendo in discussione la sua eredità. "Ho passato molte ore e settimane e mesi e anni a pensare se qualcosa che ho fatto ha avuto un impatto positivo sulla società o sull'umanità". Ha bloccato alcuni siti web, spento le notifiche push, limitato l'uso di Telegram a messaggiare con la moglie e alcuni amici. Ha cercato di disabituarsi all'uso di Twitter. Lascia in carica il suo telefono in cucina, collegandolo alle 19:00, e non lo tocca fino alla mattina dopo.
"Gli smartphone sono strumenti utili, ma creano dipendenza. Pull-to-refresh crea dipendenza. Twitter crea dipendenza. Queste non sono cose buone. Quando ci lavoravo, non era qualcosa a cui ero abbastanza maturo per comprendere le implicazioni".
Non tutti però sembrano tormentati dal senso di colpa. I due inventori elencati nel brevetto di Apple per la gestione delle connessioni di notifica e la visualizzazione dei badge delle icone sono Justin Santamaria e Chris Marcellino. Entrambi erano poco più che ventenni quando sono stati assunti da Apple per lavorare sull'iPhone.
La tecnologia di notifica da loro inventata ha permesso un centinaio di interruzioni non richieste in milioni di vite, accelerando la corsa agli armamenti per l'attenzione della gente. Santamaria, che ora gestisce una startup dopo un periodo come capo della telefonia mobile di Airbnb, dice che la tecnologia che ha sviluppato alla Apple non era "intrinsecamente buona o cattiva". "Questa è la riflessione più importante per la nostra società. Va bene spegnere il telefono quando lascio il lavoro? Va bene se non ti rispondo subito? Va bene se non 'mi piace' tutto ciò che passa attraverso il mio schermo di Instagram?"
Il suo collega di allora, Marcellino, è d'accordo. "Onestamente, in nessun momento ero seduto a pensare: agganciamo le persone. Era tutta una questione di aspetti positivi: queste app connettono le persone, hanno tanti usi - ESPN ti dice che la partita è finita, WhatsApp che ti fa arrivare un messaggio gratuitamente dal tuo familiare in Iran, ecc...".
Alcuni anni fa Marcellino, ha lasciato la Bay Area. Sottolinea di non essere un esperto di dipendenza, ma dice che ha raccolto abbastanza nella sua formazione medica per sapere che le tecnologie possono influenzare gli stessi percorsi neurologici del gioco d'azzardo e dell'uso di droga. Usano gli stessi circuiti che spingono le persone a cercare cibo, conforto, calore e sesso.
Roger McNamee, uno dei primi investitori che hanno creduto in Facebook, e che ha beneficiato notevolmente dei suoi investimenti in Google e Facebook, oggi ha assunto posizioni molto critiche nei confronti di queste aziende. Sostiene che le loro "missioni" iniziali sono state distorte dalle fortune che sono state in grado di generare.
Lui identifica nell'avvento dello smartphone come un vero e proprio punto di svolta nella "guerra" per l'attenzione. I dispositivi mobili hanno notevolmente alzato la posta in gioco nella "corsa agli armamenti" per l'attenzione della gente.
"Facebook e Google affermano con merito che stanno dando agli utenti ciò che vogliono", dice McNamee. "Lo stesso si può dire delle compagnie di tabacco e degli spacciatori di droga".
McNamee è più di un uomo che ha fatto i soldi grazie a Facebook. È stato il consigliere di Mark Zuckerberg, ha presentato il CEO di Facebook alla sua amica, Sheryl Sandberg, allora dirigente di Google che aveva supervisionato gli sforzi pubblicitari dell'azienda di Mountain View. "Le persone che gestiscono Facebook e Google sono brave persone, le cui strategie ben intenzionate hanno portato a orribili conseguenze indesiderate. Il problema è che non c'è niente che le aziende possano fare per risolvere questa situazione, a meno che non abbandonino i loro attuali modelli pubblicitari".
Ma come si può costringere Google e Facebook ad abbandonare i modelli di business che li hanno trasformati in due delle aziende più redditizie del pianeta?
McNamee ritiene che le aziende in cui ha investito dovrebbero essere soggette a una maggiore regolamentazione, comprese nuove regole anti-monopolio. A Washington, c'è un crescente appetito per controllare la Silicon Valley. Ma McNamee teme che i colossi che ha aiutato a costruire possano essere già troppo grandi da limitare. "L'Unione Europea ha recentemente multato Google per 2,42 miliardi di dollari per violazioni anti-monopolio, e gli azionisti di Google hanno fatto spallucce".
Rosenstein ritiene che si possa regolamentare la "pubblicità psicologicamente manipolativa". L'impulso morale è paragonabile all'azione contro le compagnie di combustibili fossili o di tabacco. "Se ci preoccupiamo solo della massimizzazione del profitto andremo rapidamente verso la distopia".
James Williams non crede che parlare di distopia sia inverosimile. L'ex stratega di Google che ha costruito il sistema di metriche per il business globale della pubblicità di ricerca dell'azienda, ha avuto una visione in prima fila di un'industria che descrive come la "più grande, più standardizzata e più centralizzata forma di controllo dell'attenzione nella storia umana".
Ha lasciato Google nel 2016, ed ha completato un dottorato di ricerca all'Università di Oxford che esplora l'etica del design persuasivo. È un viaggio che lo ha portato a chiedersi se la democrazia può sopravvivere alla nuova era tecnologica.
Dice che la sua epifania è arrivata qualche anno fa, quando ha notato che era circondato dalla tecnologia che gli stava inibendo la concentrazione sulle cose su cui voleva focalizzarsi. "È stata quella sorta di realizzazione individuale ed esistenziale: cosa sta succedendo? La tecnologia non dovrebbe fare l'esatto contrario di questo?".
Quel disagio è stato aggravato quando durante una giornata di lavoro ha dato un'occhiata ad uno dei cruscotti di Google, un display multicolore che mostrava quanta attenzione delle persone l'azienda aveva ottenuto per i propri inserzionisti.
"Mi sono reso conto: questo è letteralmente un milione di persone che abbiamo in qualche modo spinto o persuaso a fare questa cosa che altrimenti non avrebbe fatto".
Si è dedicato per diversi anni ad una propria ricerca, indipendente, svolta mentre lavorava part-time in Google. Dopo circa 18 mesi, ha letto il memorandum diffuso da Harris e sono diventati amici, e compagni nella causa per portare un cambiamento all'interno dell'azienda di Mountain View.
Williams ed Harris hanno lasciato Google più o meno nello stesso periodo, e hanno co-fondato un gruppo di difesa, il "Time Well Spent", che cerca di costruire uno slancio pubblico per un cambiamento nel modo in cui le grandi aziende tecnologiche pensano al design. Williams trova difficile comprendere perché questo problema non sia "sulla prima pagina di ogni giornale ogni giorno".
L'87% delle persone si sveglia e va a dormire con il proprio smartphone. Il mondo intero ha ora una nuova "lente" attraverso il quale comprendere la politica, e le conseguenze sono profonde.
Le stesse forze che hanno portato le aziende tecnologiche a catturare l'attenzione degli utenti incoraggiano anche quelle aziende a rappresentare il mondo in un modo irresistibile. "L'economia dell'attenzione incentiva la progettazione di tecnologie che catturano la nostra attenzione. Così facendo, privilegia i nostri impulsi rispetto alle nostre intenzioni."
Significa privilegiare ciò che è sensazionale rispetto a ciò che non lo è, facendo appello ad emozioni come rabbia e indignazione.
I media lavorano sempre più al servizio delle aziende tecnologiche e devono giocare secondo le regole dell'economia dell'attenzione per sensazionalizzare, adescare e intrattenere per sopravvivere.
Sulla scia della sbalorditiva vittoria elettorale di Donald Trump, molti si sono affrettati a mettere in discussione il ruolo delle cosiddette "fake news" su Facebook, i bot di Twitter creati dalla Russia o gli sforzi di targeting incentrati sui dati che aziende come Cambridge Analytica hanno usato per influenzare gli elettori. Ma Williams vede questi fattori come sintomi di un problema più profondo.
Non sono solo attori loschi o cattivi che hanno sfruttato internet per cambiare l'opinione pubblica. La stessa economia dell'attenzione è impostata per promuovere un fenomeno come Trump, che è magistrale nell'afferrare e mantenere l'attenzione dei sostenitori e dei critici, spesso sfruttando o creando un forte sentimento di indignazione.
Nell'articolo "The Clickbait Candidate" ben un mese prima delle elezioni americane, Williams ha lanciato l'allarme su una questione che riteneva e ritiene tutt'ora molto più importante del fatto che Trump vincesse le elezioni.
Le nuove dinamiche dell'economia dell'attenzione, digitalmente sovralimentate, hanno finalmente attraversato una soglia e si sono manifestate nel regno della politica.
Le stesse dinamiche svoltesi mesi prima durante la campagna per la Brexit. Quando l'economia dell'attenzione gli è apparsa sbilanciata a favore del caso emotivo e identitario per l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea.
Tutto questo non solo sta distorcendo il modo in cui vediamo la politica ma, nel tempo, potrebbe cambiare il nostro modo di pensare, rendendoci meno razionali e più impulsivi. "Ci siamo abituati ad uno stile cognitivo perpetuo di indignazione, interiorizzando le dinamiche del mezzo" afferma Williams.
È su questo sfondo politico che Williams sostiene che la fissazione negli ultimi anni con lo stato di sorveglianza romanzato da George Orwell potrebbe essere stata fuori luogo. Fu un altro scrittore inglese di fantascienza, Aldous Huxley, a fornire l'osservazione più preveggente quando avvertì che la coercizione in stile orwelliano era meno di una minaccia alla democrazia rispetto al potere più sottile della manipolazione psicologica e "l'appetito quasi infinito dell'uomo per le distrazioni".
Se l'economia dell'attenzione erode la nostra capacità di ricordare, di ragionare, di prendere decisioni per noi stessi - facoltà che sono essenziali per l'autogoverno - che speranza c'è per la democrazia stessa?
"Le dinamiche dell'economia dell'attenzione sono strutturate per minare la volontà umana. Se la politica è un'espressione della nostra volontà umana, a livello individuale e collettivo, allora l'economia dell'attenzione sta minando direttamente i presupposti su cui poggia la democrazia. Se Apple, Facebook, Google, Twitter, Instagram e Snapchat stanno gradualmente intaccando la nostra capacità di controllare la nostra mente, potrebbe arrivare un punto, mi chiedo, in cui la democrazia non funziona più? Saremo in grado di capirlo se e quando avverrà? E se non possiamo, come facciamo a sapere che non è già avvenuto? si domanda Williams.
Dott. Francesco Russo
BREVE PROFILO DI FRANCESCO RUSSO
Francesco Russo, consulente di marketing e consulente esperto in economia dell'attenzione e distrazione. Ha iniziato ad occuparsi di comunicazione nel 1999. Quell'anno si appassiona al mondo del web e della comunicazione preparando una tesina per l'esame di maturità.
Il 1° febbraio 2010 fonda BrioWeb, agenzia di marketing e comunicazione operante in tutta Italia e all'estero con base a Venezia.
In occasione del decennale di BrioWeb fonda la rivista di marketing "Eclettica Magazine" (100% gratuita) e da vita ad una collana di e-book di marketing anch'essa completamente gratuita.
Nel corso della sua lunga carriera è sempre stato ispirato dal concetto del "tutto è connesso", sviluppando un approccio al marketing "olistico", che lo ha portato a divenire autore di articoli, libri, relatore ufficiale di SMAU, dell'Hospitality Day, e di molte altre manifestazioni di livello nazionale ed internazionale.
Nel 2006, dopo un ciclo di incontri dedicato al cyberbullismo che lo ha portato a visitare una serie di scuole medie superiori venete, ha iniziato ad interessarsi al fenomeno dell'economia dell'attenzione e di conseguenza dell'economia della distrazione.
Oggi è considerato un esperto di stress, ansia, esaurimento cognitivo, insonnia, workhaolism, burnout, information overload, infodemia, nomofobia, multitasking, fake news, sharenting, smombies e phubbing, che lo portano ad erogare consulenze e corsi nelle aziende di tutta Italia.
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Francesco Russo
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