Stai leggendo - All'ombra del monolite - il blog di Francesco Russo

In missione contro le distrazioni per proteggere aziende e persone dagli effetti negativi dell'economia dell'attenzione

Lo scopo non è fondamentale, il significato sì

Francesco Russo, consulenze per gestire gli effetti negativi dell'economia dell'attenzione, workhaolism, burnout, information overload, nomofobia, multitasking, stress e infodemia, attraverso la metacognizione per il benessere digitale

Pagina pubblicata in data 7 maggio 2024
Aggiornata il 9 maggio 2024
Tempo di lettura: il tempo necessario a capire le cose

In questo articolo torno a soffermarmi su un tema a me molto caro: l’importanza che svolge la percezione di un significato in tutto quello che facciamo. Dopo l’articolo che ho scritto nel 2018, quello che ho scritto nel 2022, in questo articolo mi voglio soffermare su quanto sia importante per la salute e per le nostre prestazioni lavorative il percepire che le nostre mansioni hanno un senso.

Oggi giorno molte persone sono pronte a rifiutare un lavoro che non si allinea con gli obiettivi che si sono poste. Non mi riferisco a questioni economiche. Ricevere un equo compenso per le mansioni svolte (indipendentemente dall'esperienza) è fondamentale. Quindi, non considero neanche il rifiuto di una proposta lavorativa che non preveda un'adeguata retribuzione come un rifiuto. Diversa è la situazione di quando si rifiuta un lavoro perché non corrisponde agli obiettivi che ci si è prefissati.
Da un lato la ricerca di un lavoro si prolunga notevolmente quando si è troppo selettivi, e una conseguenza è che aumentano l’ansia e lo stress.
Dall'altro lato fare un lavoro che si è scelto per raggiungere gli obiettivi, spesso, non è condizione sufficiente per dare il meglio di sé stessi.

Per questo motivo è giusto riflettere sul fatto che le nostre aspettative possono, alle volte, portare più "svantaggi" che essere una leva verso il raggiungimento degli obiettivi che ci poniamo.
Il motivo di questi "svantaggi"? Spesso quello che pensiamo essere il nostro scopo non lo è realmente.

Differenti ricerche, come quelle portate avanti dallo psicologo canadese Paul Fairlie, illustrano come percepire pieno di significato ciò che facciamo è di vitale importante.

Negli anni Cinquanta, lo psicologo Leon Festinger sosteneva che noi esseri umani abbiamo un bisogno intrinseco di giudicarci. Spesso lo facciamo confrontandoci con le altre persone. Questo ci porta spesso a mettere l’enfasi sull’importanza di seguire, in un determinato modo, una carriera di "successo". A porci i medesimi obiettivi delle persone a noi vicine o che ammiriamo (pensiamo al classico esempio del genitore che vede il proprio figlio o la propria figlia proseguire la propria attività lavorativa).

Il problema è che quando lo scopo viene inquadrato come "la ragione ultima della nostra esistenza", è facile che la scelta di un percorso professionale possa essere vissuta come una decisione cruciale, una di quelle scelte che determineranno tutta la vita.

Una ricerca spasmodica di uno scopo, il porsi a tutti i costi degli obiettivi, può avere un impatto negativo sulla nostra salute mentale e fisica, portando a un calo della motivazione, a una riduzione della propria autostima e, in casi estremi, all'abuso di sostanze. Tutto questo ha come conseguenza un notevole calo delle nostre prestazioni e delle nostre capacità di empatia, di creatività e di analizzare i "problemi" da punti di vista differenti.

Le nostre relazioni sentimentali, così come quelle con gli amici e la famiglia, si evolvono man mano che entriamo nell'età adulta. Con l'avanzare dell'età, le nostre esigenze e i nostri obiettivi iniziano a cambiare e continuano a cambiare, in modo quasi imprevedibile.

Per esempio, il tipo di partner che ci piace a 18 anni è probabilmente molto diverso da quello che cerchiamo a 35 anni. Ci evolviamo, acquisiamo esperienze e saggezza, conosciamo meglio il mondo e conosciamo meglio noi stessi. Allo stesso modo, ciò che cerchiamo dal nostro lavoro e dalla nostra carriera cambia. È, quindi, possibile che lo scopo che ci siamo posti (se ne abbiamo uno) possa cambiare nel corso della nostra carriera. Questo è uno dei motivi che spiega perché in alcuni casi quello scopo che consideravamo fondamentale con il passare del tempo può iniziare a diventarci ostico.

Per questo motivo se non si possiede uno scopo nella carriera lavorativa non c’è da preoccuparsi.

Le ricerche mostrano che concentrarsi nel svolgere al meglio le proprie mansioni facendo leva sui propri punti di forza fa percepire un maggiore significato del proprio lavoro e della propria quotidianità. Non solo, le ricerche, evidenziano anche che lo sviluppo delle nostre capacità, la crescita della propri persona, porta con sé maggiore felicità, soddisfazione e significato.

Chi non vuole migliorare in qualcosa? L'opportunità di imparare e crescere aiuta a creare significato non solo nel lavoro, ma in molti contesti. Questo avviene anche se il miglioramento riguarda una mansione che in passato non avevamo considerato.

Per sentirsi felici e appagati sul lavoro, in ultima analisi, è necessario impegnarsi nello svolgere al meglio la propria mansione, nel migliorare costantemente, e sviluppare la consapevolezza che la natura del nostro lavoro è importante non solo per noi ma anche per le altre persone.

Questo significa percepire il proprio lavoro pieno di significato. Questo significa poter dare il meglio di sé.

Dott. Francesco Russo

BREVE PROFILO DI FRANCESCO RUSSO
Francesco Russo, consulente di marketing e consulente esperto in economia dell'attenzione e distrazione. Ha iniziato ad occuparsi di comunicazione nel 1999. Quell'anno si appassiona al mondo del web e della comunicazione preparando una tesina per l'esame di maturità.

Il 1° febbraio 2010 fonda BrioWeb, agenzia di marketing e comunicazione operante in tutta Italia e all'estero con base a Venezia.

In occasione del decennale di BrioWeb fonda la rivista di marketing "Eclettica Magazine" (100% gratuita) e da vita ad una collana di e-book di marketing anch'essa completamente gratuita.

Nel corso della sua lunga carriera è sempre stato ispirato dal concetto del "tutto è connesso", sviluppando un approccio al marketing "olistico", che lo ha portato a divenire autore di articoli, libri, relatore ufficiale di SMAU, dell'Hospitality Day, e di molte altre manifestazioni di livello nazionale ed internazionale.

Nel 2006, dopo un ciclo di incontri dedicato al cyberbullismo che lo ha portato a visitare una serie di scuole medie superiori venete, ha iniziato ad interessarsi al fenomeno dell'economia dell'attenzione e di conseguenza dell'economia della distrazione.

Oggi è considerato un esperto di stress, ansia, esaurimento cognitivo, insonnia, workhaolism, burnout, information overload, infodemia, nomofobia, multitasking, fake news, sharenting, smombies e phubbing, che lo portano ad erogare consulenze e corsi nelle aziende di tutta Italia.

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