Stai leggendo - All'ombra del monolite - il blog di Francesco Russo

In missione contro le distrazioni per proteggere aziende e persone dagli effetti negativi dell'economia dell'attenzione

Viaggio nella creazione della memoria

Francesco Russo, consulenze per gestire gli effetti negativi dell'economia dell'attenzione, workhaolism, burnout, information overload, nomofobia, multitasking, stress e infodemia, attraverso la metacognizione per il benessere digitale

Pagina pubblicata in data 12 luglio 2022
Aggiornata il 13 luglio 2022
Tempo di lettura: il tempo necessario a capire le cose

I neuroscienziati sono costantemente impegnati nel capire il funzionamento del cervello umano. In particolare di una delle capacità più incredibili che questo possiede: la memoria. Cioè la capacità di archiviare e conservare le nostre esperienze.

In questo articolo mi soffermo su alcune recenti ricerche davvero interessanti. Ricerche che mettono in evidenza quanto sia importante lo sviluppo della metacognizione, della consapevolezza del sé (leggi a riguardo l'articolo "Consapevoli del sé - La metacognizione").

Lo sviluppo delle capacità metacognitive permette ad ognuno di noi di avere un maggiore controllo sui processi cognitivi del nostro cervello. Permettono di sviluppare la nostra attenzione e di conseguenza di avere un maggiore controllo della realtà. Nello specifico, come illustrerò in questo articolo, un maggiore controllo sui nostri ricordi.

La carica dei cento e poco più

Un gruppo di ricercatori dell'UT Southwestern Medical Center ha pubblicato lo scorso dicembre la ricerca "Neurons in the human medial temporal lobe track multiple temporal contexts during episodic memory processing", nella quale si illustrano le caratteristiche di oltre 100 neuroni che svolgono un ruolo chiave nel modo in cui i ricordi sono "richiamati" dal cervello.

Una scoperta che apparentemente non sembra avere grande importanza, ma che potrebbe un giorno offrire un'opportunità in più nel curare i traumi al cervello, malattie come il morbo di Alzheimer o la schizofrenia, o permettere lo sviluppò di nuove terapie di stimolazione profonda del cervello.

Bradley Lega, professore associato di neurochirurgia, neurologo, psichiatra e membro del Peter O'Donnell Jr. Brain Institute, ha affermato: "Queste scoperta getta una luce importante su una domanda: come facciamo a sapere che quello che stiamo ricordando è qualcosa che appartiene al passato piuttosto che un’esperienza da poco vissuta, che la nostra memoria è ancora impegnata ad archiviare?".

L'elemento più importante emerso dallo studio, è che l'attivazione dei circuiti neuronali che utilizziamo per recuperare un ricordo avviene con tempistiche differenti. Questo "sfasamento", rilevato per la prima volta negli esseri umani, assieme agli altri elementi individuati dalla ricerca, spiega come il cervello può "rivivere" un evento, ma anche tenere traccia del fatto che il ricordo è qualcosa di nuovo o qualcosa di precedentemente codificato.

Quando l'archiviazione di un ricordo ha successo, si registra in un centinaio di neuroni presenti fra l’ippocampo e la corteccia entorinale del cervello, un aumentano della loro attività. Si tratta dei medesimi neuroni che utilizziamo per richiamare dalla memoria un ricordo.

La corteccia entorinale è un’area del cervello situata nel lobo temporale mediale. Spesso viene definita come l’area di “interfaccia”, attiva nel continuo processo comunicativo tra l’ippocampo e la neocorteccia. Si divide in due regioni: quella mediale e quella laterale.

In quest’area si trova la nostra identità, la nostra narrativa interiore, la nostra storia personale. Ci aiuta ad orientarci nello spazio. La corteccia entorinale è collegata all'ippocampo che a sua volta è connesso all’amigdala.

L'amigdala è quella parte del cervello che gestisce le nsotre emozioni. Per questo motivo è inevitabile che ogni ricordo abbia anche una componente emotiva. Questo è uno dei motivi per cui avere la consapevolezza delle nostre emozioni, ed un controllo di esse, può ad esempio ridurre i tentativi di manipolarci (puoi leggere a tal proposito l'articolo "Fissare l'economia della distrazione").

Il modello SPEAR

Anche se questa ricerca non offre una risposta definitiva, fornisce ulteriore credibilità al modello SPEAR (Separate Phases at Encoding And Retrieval), proposto dai neuroscienziati, per spiegare come funziona la nostra memoria. Modello che fino ad ora è stato dimostrato essere presente solo nei roditori.

Lo "sfasamento" spiega come il cervello può tenere memoria delle nuove esperienze che facciamo ed allo stesso tempo (o meglio in tempi differiti) recuperare uno o più ricordi.

In parole semplici. Essendo i medesimi neuroni e le medesime zone del cervello responsabili dell'archiviazione di un ricordo e del richiamo dalla memoria di un ricordo, questi due processi non possono avvenire contemporaneamente, ma l'archiviazione di un'esperienza nella memoria avviene come se stessimo assistendo alla visione di un programma in "differita". Mentre il richiamo dalla memoria di un ricordo avviene in "diretta":

Questa scoperta fa comprendere come il nostro cervello può essere visto come un vero e proprio "campo di battaglia", dove i processi cognitivi devono contendersi risorse limitate.

Scarsità di risorse

Un gruppo di ricercatori dell'Università della California di Irvine ha scoperto che il processo di consolidamento della memoria a lungo termine ed il processo della memoria di lavoro (la memoria a breve termine) avvengono, durante il sonno, l’uno a discapito dell’altro. Lo studio, pubblicato su "Proceedings of the National Academy of Sciences" , è il primo ad illuminare questo "compromesso" nel cervello umano, e conferma quanto scoperto dai ricercatori della UT Southwestern Medical Center.

Durante il sonno, infatti, il nostro cervello utilizza i medesimi circuiti per far funzionare entrambi i tipi di memoria, costringendolo a passare da un processo all’altro.

Sara Mednick, un membro del gruppo di ricerca dell’Università della California di Irvine, direttrice del Sleep and Cognition Lab dell'UCI e specializzata nello studio del ruolo che ha il riposo nella formazione della memoria umana, ha spiegato che la ricerca si è concentrata sulla memoria a lungo termine (la capacità di ricordare informazioni come compleanni ed eventi importanti per un periodo prolungato) e sulla memoria a breve termine (la capacità di conservare informazioni come un numero di telefono o una lista della spesa per poi dimenticarle quando non sono più necessarie).

I processi che sovrintendono alla memoria di lavoro ed alla memoria a lungo termine avvengono durante lo stesso ciclo di sonno, quello che si verifica durante le prime tre o quattro ore di sonno. Il gruppo di ricerca si è basato sul precedente lavoro condotto dal Sleep and Cognition Lab che ha scoperto come il farmaco Zolpidem (equivalente generico dell’Ambien), aumenta l’attività dell’ippocampo durante il sonno, con conseguente miglioramento delle prestazioni della memoria a lungo termine.

Ai partecipanti di questo studio è stato chiesto di ricordare stringhe di lettere (presentate fra problemi matematici), di svolgere delle associazioni fra coppie di parole e di ricordare le combinazioni di parole.

Dopodiché ai soggetti partecipanti, poco prima di dormire, è stato somministrato lo Zolpidem od un placebo, ed i ricercatori hanno monitorato la loro frequenza cardiaca, l'attività cerebrale e l’attività degli occhi.

Coloro che avevano assunto lo Zolpidem ottenevano risultati migliori nei compiti che richiedevano l’uso della memoria a lungo termine, ma nettamente peggiori nei compiti che richiedevano l’uso della memoria di lavoro rispetto a quelli che avevano assunto il placebo.

Questa ricerca mette in evidenza ancora una volta quanto una notte di buon sonno sia importante. In particolar modo quanto sia importante la qualità del sonno delle prime ore, per garantire al nostro cervello di formare i nostri ricordi. Un ulteriore motivo per smettere di guardare la TV, usare un PC o uno smartphone almeno un'ora prima di dormire, e di dare al nostro cervello il tempo di calmarsi e prepararsi al riposo.

Le dimensioni contano

Clayton Curtis professore di psicologia e scienze neurali presso la New York University, nell'articolo Unveiling the abstract format of mnemonic representations ha illustrato il ruolo che le immagini hanno nella formazione della memoria a breve termine (la memoria di lavoro). Lo studioso ha ipotizzato che il nostro cervello non solo scarta le caratteristiche irrilevanti nell'attività di archiviazione, ma ricodifica anche le caratteristiche rilevanti per inserirle in formati di memoria che siano efficienti.

Per verificare tutto questo, gli sperimentatori hanno misurato l'attività cerebrale con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) di una serie di persone impegnate in compiti che richiedevano la memoria di lavoro visiva. In ogni prova i partecipanti allo studio dovevano ricordare, per alcuni secondi, uno stimolo visivo e quindi esprimere un giudizio basandosi sulla propria memoria.

Ogni giorno incontriamo immagini, sui muri della città, sui giornali, sui libri e sui dispositivi elettronici. Alcune rimangono impresse nella nostra memoria ed altre no. Gli elementi che influenzano se ricordiamo un'immagine o meno non sono ancora del tutto noti. Un studio condotto dalla dott.ssa Sharon Gilaie-Dotan, della Scuola di Optometria e Scienza della Visione dell'Università Di Bar-Ilan e del The Leslie and Susan Gonda (Goldschmied) Multidisciplinary Brain Research Center, ha cercato di determinare se ricordiamo meglio le immagini di grandi dimensioni rispetto a quelle piccole.

I risultati dello studio, appena pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, mostrano per la prima volta che nella visione naturale, la memoria visiva delle immagini è influenzata dalle dimensioni dell'immagine osservata.

Questi risultati possono avere molte implicazioni, come ad esempio la scelta di utilizzare diversi tipi di schermi elettronici per influenzare la qualità dell'elaborazione delle informazioni.

Molti libri di testo delle scuole superiori oggi sono disponibili in formato elettronico e gli studenti a volte studiano direttamente sui loro smartphone. Se è innegabile che lo schermo dello smartphone è maneggevole e comodo da utilizzare, è altrettante vero che la qualità dell'apprendimento può essere migliorata se si ricorre ad uno schermo più grande.

L'effetto wow? Altera i tuoi ricordi

I nostri ricordi sono inlfuenzati anche dalle emozioni come scrivevo qualche riga sopra. Infatti, un elemento di sorpresa, di stupore, può essre la ricetta perfetta per creare falsi ricordi.

Inizi a raccontare una vecchia storia a degli amici. Improvvisamente, un'altra persona che era presente ai fatti che stai raccontando, dice: "no, non è andata così!". Senza una registrazione video per risolvere la controversia, è piuttosto difficile sapere chi ricorda correttamente i fatti accaduti?

Se si è con degli amici mentre si raccontano storie dell'infanzia davanti ad una birra, ricordare in modo non corretto i fatti è un problema "relativo", ma è tutt'altra cosa in un'aula di tribunale.

La memoria umana può essere modificata, creando falsi ricordi. Un team di ricercatori ha capito come ciò accade e lo ha dimostrato alterando i ricordi delle persone.

"Penso che molte persone abbiano l'idea sbagliata che la memoria funzioni come una videocamera: registriamo qualcosa e poi possiamo riprodurlo", ha affermato Allie Sinclair, dottoranda presso il Dipartimento di Psicologia e Neuroscienze di Duke che ha collaborato alla realizzazione della ricerca "Prediction errors disrupt hippocampal representations and update episodic memories"

"Quando richiami alla memoria un ricordo, il tuo cervello ricostruisce quell'esperienza e, a volte, altera il ricordo nel processo", ha affermato la Sinclair. Il "montaggio" del ricordo è per lo più una buona cosa, in quanto ci consente di imparare dai nostri errori e integrare nuove informazioni con vecchie esperienze. Ma la possibilità di modificare i ricordi lascia aperta la porta alla possibilità di creare falsi ricordi.

Per questo studio, condotto assieme ad i colleghi dell'Università di Toronto, a due dozzine di partecipanti sono stati mostrati 70 video brevi. "Alla gente sembra davvero piacere questo compito, era come se partecipassero ad un film-fest", ricorda la Sinclair.

Il giorno seguente ai partecipanti è stato chiesto di rivedere i video, monitorati però da un sistema di risonanza magnetica. Questa volta metà dei video venivano interrotti improvvisamente e senza preavviso nel momento cruciale della narrazione.

La sorpresa coinvolge tutto il cervello e attiva alcuni sistemi neuromodulatori, in particolare l'acetilcolina, la dopamina e la noradrenalina. Quando succede qualcosa di sorprendente, vengono rilasciati questi neurotrasmettitori e quell'evento lo si ricorda in modo vivido.

Il terzo giorno, i partecipanti sono stati intervistati su ogni minimo dettaglio che avevano visto nei video. Alcune persone sono state incredibilmente dettagliate ed accurate, altre persone hanno avuto un numero elevato di falsi ricordi. Quello che i ricercatori hanno visto nelle immagini della risonanza magnetica è che la sorpresa ha cambiato il ruolo che l'ippocampo ha svolto nella creazione dei ricordi. Dopo i video non sorprendenti, l'ippocampo sembrava essere in modalità "archiviazione dei ricordi" (come ho scritto all'inizio di questo articolo). Ma dopo i video con "sorpresa", l'ippocampo è passato in modalità "aggiornamento," preparandosi a modificare i ricordi. La sorpresa ha alterato la stabilità degli schemi nell'ippocampo. Una maggiore perturbazione degli schemi ha portato a un maggior numero di falsi ricordi.

La riscrittura dei ricordi non è stata del tutto casuale. Sembrava accadere tra video "semanticamente correlati". Ad esempio, il video di un giocatore di baseball potrebbe contaminare la memoria di un'altro video legato allo sport.

Ci sono stati esempi, occasionali, in cui qualcuno stava chiaramente prendendo un elemento da un video e lo utilizzava per descrivere un altro video.

La scoperta getta più dubbi sul modo in cui i testimoni del crimine ricordano eventi e volti – mostrare loro foto di cose a cui non hanno assistito è una cattiva idea – perché potrebbe alterare i loro ricordi.

Questo studio apre anche l'opportunità di capire meglio l'apprendimento. Poiché la sorpresa aiuta a fissare i ricordi in modo vivido, fornire un feedback immediato sulle risposte sbagliate su un quiz può rivelarsi molto utile, così come la pratica di chiedere agli studenti di provare a prevedere una risposta prima di fornire loro quella reale. Se proviamo a portare gli studenti a fare previsioni attive, e poi diamo loro un feedback sorprendente, potrebbero essere più propensi a imparare da quel feedback e archiviarlo nella memoria.

In conclusione

Comprendere come il nostro cervello archivia i ricordi, come gli elabora, ci permette di assumere comportamenti ed abitudini per sfruttare al meglio le risorse che il nostro cervello ci mette a disposizione.

Dott. Francesco Russo

BREVE PROFILO DI FRANCESCO RUSSO
Francesco Russo, consulente di marketing e consulente esperto in economia dell'attenzione e distrazione. Ha iniziato ad occuparsi di comunicazione nel 1999. Quell'anno si appassiona al mondo del web e della comunicazione preparando una tesina per l'esame di maturità.

Il 1° febbraio 2010 fonda BrioWeb, agenzia di marketing e comunicazione operante in tutta Italia e all'estero con base a Venezia.

In occasione del decennale di BrioWeb fonda la rivista di marketing "Eclettica Magazine" (100% gratuita) e da vita ad una collana di e-book di marketing anch'essa completamente gratuita.

Nel corso della sua lunga carriera è sempre stato ispirato dal concetto del "tutto è connesso", sviluppando un approccio al marketing "olistico", che lo ha portato a divenire autore di articoli, libri, relatore ufficiale di SMAU, dell'Hospitality Day, e di molte altre manifestazioni di livello nazionale ed internazionale.

Nel 2006, dopo un ciclo di incontri dedicato al cyberbullismo che lo ha portato a visitare una serie di scuole medie superiori venete, ha iniziato ad interessarsi al fenomeno dell'economia dell'attenzione e di conseguenza dell'economia della distrazione.

Oggi è considerato un esperto di stress, ansia, esaurimento cognitivo, insonnia, workhaolism, burnout, information overload, infodemia, nomofobia, multitasking, fake news, sharenting, smombies e phubbing, che lo portano ad erogare consulenze e corsi nelle aziende di tutta Italia.

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